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Riconoscimento della malattia professionale da parte dell’INAIL ed inopponibilità al datore di lavoro.

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Riconoscimento della malattia professionale da parte dell’INAIL ed inopponibilità al datore di lavoro.

E’ inopponibile al datore di lavoro l’intervenuto riconoscimento della malattia professionale da parte
dell’INAIL. Così la Sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 7515, del 17.03.2021.

A cura dell’avv. Gianfranco Todaro.

IL CASO

Il Tribunale di Taranto respingeva la domanda presentata dagli eredi di un ex-dipendente ILVA, volta
ad ottenere la condanna della società al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto per il decesso del
loro dante causa dovuto a patologia da questi contratta durante il periodo lavorativo e riconosciuta
dall’INAIL.
La Corte di appello di Lecce, rigettava il gravame sul presupposto che non fosse stato dimostrato il nesso di
causalità tra la malattia del lavoratore e l’eventuale mancata adozione di misure atte a prevenire l’insorgere
della patologia, non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, il riconoscimento da parte dell’INAIL della
malattia professionale, non opponibile alla ILVA SpA.
Con la motivazione dei Giudici dell’appello, che l’accertamento in via amministrativa fosse estraneo a
qualsivoglia contraddittorio con il datore di lavoro.
Di tale decisione domandavano la Cassazione i predetti eredi, affidando l’impugnazione a due motivi – cui
resisteva la ILVA – denunciando la falsa applicazione degli artt.li 2043, 2059 e 2087 e osservando, in
particolare, che i giudici del gravame avessero violato l’art. 2697 c.c. in tema di riparto dell’onere della
prova, avendo trascurando la valenza del provvedimento INAIL in cui si evidenziava il riconoscimento, in
favore del dante causa, dell’inabilità lavorativa totale e permanente per avere contratto il microcitoma
polmonare, definito come malattia professionale e non avendo considerato che la dimostrazione della
condotta illecita potesse essere fornita sulla base di nozioni di fatto notorie o che rientravano nella comune
esperienza o anche sulla base di presunzioni semplici.
A dire dei ricorrenti, la prova della sofferenza subita da essi eredi per la tragica scomparsa del loro
congiunto, avrebbe potuto essere desunta, anche in via esclusivamente presuntiva, dalla stretta relazione
parentale esistente tra istanti e deceduto, dal naturale legame affettivo di coniugio e di discendenza diretta
che li legava e dalla loro abituale convivenza: elementi che risultavano tutti anche dalla certificazione
anagrafica allegata in atti.

L’ITER E I PRINCIPI DI DIRITTO SANCITI
I Giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, hanno preliminarmente inquadrato – e
correttamente – la domanda nell’alveo dell’illecito aquiliano del datore di lavoro da parte di soggetti non
legati a questi da rapporto contrattuale, non trascurando di precisare che i ricorrenti avessero agito iure
proprio per ottenere il riconoscimento del danno non patrimoniale – sub specie morale – sofferto per il
decesso del proprio congiunto a cagione della malattia contratta durante l’attività lavorativa.
La Cassazione, pur in mancanza di una specifica impugnativa in tal senso da parte dei ricorrenti, ciò che
rendeva definitivo il punto tra le parti, ha inteso precisare che: “il provvedimento dell’INAIL non può
assumere, ai fini di una eventuale responsabilità del datore di lavoro, né valenza indiziaria, stante la sua
inopponibilità alla società, né valore di fatto notorio, non potendosi giuridicamente individuare come tale”.
Confermando il precedente orientamento, i Giudici della Suprema Corte hanno stabilito che un
provvedimento di riconoscimento di malattia professionale non può rientrare neanche nella comune
esperienza di cui all’art. 115 c.p.c. , comma 2, essendo escluse, in tale ambito, le valutazioni che, per essere
formulate, necessitano di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante consulenza tecnica o mezzi
cognitivi peritali analoghi e per le quali non si può parlare di fatti o regole di esperienza pacificamente
acquisite al patrimonio conoscitivo dell’uomo medio o della collettività con un grado di certezza da apparire
indubitabile e incontestabile (Cass. n. 15159 del 4.6.2019).

Il testo integrale della sentenza.