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La Cassazione circa i criteri di imputazione oggettivi per la configurazione della responsabilità degli Enti.

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La Cassazione circa i criteri di imputazione oggettivi per la configurazione della responsabilità degli Enti.

La Cassazione è tornata di recente ad occuparsi della responsabilità da reato degli enti, ai sensi del D.lgs. 231/2001, intervenendo in particolare sulla corretta interpretazione dei criteri di imputazione oggettivi, ovvero “l’interesse” ed il “vantaggio” dell’ente. Alcune note circa la sentenza Sez. IV, 5 febbraio 2021, n. 4480.

A cura dell’avv. Maxime Manzari.

IL CASO

Il Tribunale di Firenze aveva ritenuto i due imputati penalmente responsabili del reato di lesioni colpose aggravate ai danni di un lavoratore, cagionate per colpa ed in violazione delle norme di cui al T.U. n. 81/08, nelle rispettive qualità datore di lavoro e di dirigente all’interno della società, e gli enti responsabili del reato contestato agli imputati, con applicazione della relativa sanzione amministrativa.

L’infortunio si era verificato nel corso della esecuzione di un lavoro avente ad oggetto il montaggio di un palo di supporto di celle telefoniche per conto di altra società, mentre il lavoratore era intento a salire su un traliccio, facendo uso di strumenti in cattivo stato di manutenzione.

I PRINCIPI AFFRONTATI

Quanto al tema della responsabilità da reato dell’ente, la Corte ha ricordato che trattasi di un modello di responsabilità che, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, ha finito con il configurare un tertium genus di responsabilità, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (cfr. Sezioni Unite n. 38343/2014, Espenhahn e altri, cit., Rv. 261112).

Circa i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente (l’interesse o il vantaggio di cui all’art. 5 del d. lgs. 231 del 2001), oggetto specifico di scrutinio, “essi sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il secondo ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (cfr. Sezioni Unite n. 38343 del 24/04/22014, Espenhahn e altri, Rv. 261113).”

In particolare, nel rievocare il significato dei due concetti (interesse e vantaggio) alternativamente espressivi del criterio d’imputazione oggettiva di cui si discute, la Corte ha richiamato proprie precedenti pronunce nelle quali si è affermato, per esempio, che esso può essere ravvisato nel risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza; nell’incremento economico conseguente all’incremento della produttività non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale (sez. 4 n. 31210 del 2016, Merlino e altro; n. 43656 del 2019, Compagnia Progetti e Costruzioni); nel risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 18073 del 2015, Bartoloni ed altri); o, ancora, nella velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale.

Interesse e vantaggio, inoltre, devono essere rapportati, per quanto riguarda i reati colposi, alla condotta dell’agente, anziché all’evento del reato.

Nel soffermarsi sui criteri di accertamento dei suddetti criteri in capo all’ente, la Corte ha dunque precisato che “l’interesse dell’ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento lesivo, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa“.

LE CONCLUSIONI DELLA CORTE

I Giudici hanno concluso che, nel caso in esame, può dirsi accertato che la società distaccante aveva dotato il lavoratore di un presidio di prevenzione malfunzionante e, come evidenziato dai giudici del merito, quel presidio era essenziale per lo stesso svolgimento del lavoro da eseguirsi in distacco.

In riferimento al criterio di imputazione oggettivo previsto dall’art. 5 d.lgs 231 del 2001, la Corte lo ha individuato nel risparmio di spesa derivante dalla mancata predisposizione di un presidio atto al suo scopo e dalla omessa manutenzione o sostituzione di esso, elemento questo idoneo a ricollegare, con giudizio ex post, la condotta della persona fisica all’ente ricorrente, dovendosi pertanto confermare la responsabilità dell’ente in relazione all’infortunio verificatosi.