Il comportamento imprudente del lavoratore non esclude la responsabilità del datore per un macchinario non messo in sicurezza.
Con la sentenza n. 2848 del 25 gennaio 2021, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di una questione ricorrente, in tema di responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio del lavoratore causato da un macchinario rispetto al quale non siano state adottate tutte le misure di prevenzione necessarie. Con utili precisazioni anche in tema di responsabilità dell’ente ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
A cura dell’avv. Maxime Manzari.
Costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, l’esclusione della responsabilità in capo al datore di lavoro soltanto allorquando la condotta del lavoratore sia abnorme e tale abnormità abbia costituito la causa dell’evento lesivo. E’ altresì principio ricorrente quello per cui la responsabilità del datore non esclude quella degli altri soggetti che rivestano una posizione di garanzia, in quanto titolari di obblighi di prevenzione e cautela, generica e specifica.
IL CASO: la Corte di appello di Bologna aveva confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Modena nei confronti dei due imputati, ritenuti responsabili di avere, nelle rispettive qualità di legale rappresentante e di direttore dello stabilimento, omesso di munire degli opportuni presidi antinfortunistici, atti ad ostacolarne l’accesso all’interno con gli organi in movimento, una macchina pellettatrice, non impedendo così che il lavoratore, intento ad operazioni di pulitura, dopo aver aperto il coperchio della macchina, vi infilasse una mano mentre la pala rotante era ancora in moto per inerzia, riportandone un trauma da schiacciamento con subamputazione di quattro dita della mano destra ed indebolimento permanente dell’organo della prensione. La societa’ e’ stata ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo ascrittole.
GLI ACCERTAMENTI DI MERITO: il giudizio di merito ha consentito di accertare che la condotta posta in essere dall’infortunato non fosse imprevedibile ed abnorme, collocandosi, invece, nell’ambito dell’attività che l’operaio doveva esplicare, e, dunque, costituendo un comportamento pienamente prevedibile, attesa la tendenza dei lavoratori ad accelerare i tempi del loro lavoro nonché la sottovalutazione dei rischi e delle difficoltà di quelle operazioni che si è soliti compiere in modo ripetitivo.
Inoltre, la Corte ha chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l’evento sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni.
IL PRINCIPIO AFFERMATO DALLA SENTENZA IN ESAME: con la pronuncia esaminata la Corte ha ribadito l’orientamento consolidato in tema di abnormità e cautele contro gli infortuni sul lavoro, oltre che sulla posizione di garanzia del datore e degli altri soggetti obbligati. In particolare, la sentenza ha riaffermato che “nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sui garanti risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. La giurisprudenza di legittimità ha così, più volte, sottolineato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica; e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il comportamento del lavoratore -come e’ avvenuto nel caso di specie -rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007, Masi e altro, Rv. 236109)”.
LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE: sul punto la Corte ha rilevato che i reati presupposti (in questo caso, un reato colposo di evento) sono stati commessi nell’interesse o nel vantaggio, anche non esclusivi, dell’ente, da persone che rivestivano funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o gestione (anche di fatto) oppure da dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza di uno di tali soggetti (non rispondendo l’ente qualora le persone predette abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi). Si è altresì specificato che “con riguardo al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-septies, l’interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttività’ non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale.”
La Corte ha dunque confermato la responsabilità dell’ente, non avendo quest’ultimo potuto invocare a propria discolpa l’adozione e l’efficace attuazione di modelli organizzativi (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 30) e l’attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati.